Il Contesto

La volontà di portare avanti un progetto di animazione e progettazione all’interno della sfera dei portatori di interessi organizzati dell’area di Pordenone poggia sulla consapevolezza della necessità ed urgenza di mobilitare e rilanciare l’iniziativa politica della società locale avendo ben presente che essa deve esprimersi all’interno di un salto di paradigma che ridefinisce l’arena nella quale si confrontano dialetticamente gli interessi socioeconomici.

Dialettica che non si esprime più secondo il canone novecentesco capitale-lavoro, bensì all’interno del paradigma flussi-luoghi. Tale mutamento di paradigma, che si esprime come tensione tra istanze di sviluppo economico deterritorializzate (flussi finanziari, globalizzazione produttiva e commerciale, codificazione dei saperi scientifico-tecnologici, flussi di migrazioni, etc.) e forme di organizzazione socioeconomiche locali (vocazioni produttive e forme dell’organizzazione produttiva, culture amministrative e associative, spazio di posizione geoeconomico di prossimità, saperi taciti-contestuali, etc.), implica un profondo ripensamento delle forme di governance territoriale delle fenomenologie che vengono a prodursi nel nuovo contesto.

Paradossalmente anziché rafforzarsi, tali logiche di governo territoriale, tendono oggi, per diverse ragioni, ad indebolirsi o ad essere indebolite da provvedimenti di natura istituzionale che privano i territori della capacità di influire attivamente sui processi in corso in modo tale da trasformali in opportunità diffuse di sviluppo o, quanto meno, di conservazione del patrimonio di competenze localizzate sul territorio, specie quelle imperniate sul comparto industriale.

A partire dalla crisi del 2008 sono maturati alcuni elementi di consapevolezza dalla quale occorre prendere le mosse:

  1. La crisi non è da intendere come momento transitorio legato ad elementi congiunturali connessi al dispositivo domanda-offerta ma va inteso come vera e propria metamorfosi sistemica che impone un ripensamento del modello di sviluppo territoriale imperniato sulle 3C (casa, campanile, capannone), ovvero sul protagonismo economico, sociale e in certa misura anche politico del “capitalismo molecolare”;

  2. Il processo di metamorfosi non riguarda “solo” la sfera dell’organizzazione produttiva in senso stretto, ma investe pienamente anche i diversi livelli di governo dello sviluppo economico, della coesione sociale e istituzionale. Cambia la composizione sociale e produttiva, cambiano obiettivi e forme organizzative della rappresentanza sociale;

  3. Cresce il peso dei portatori interessi afferenti alla sfera del “capitalismo delle reti”, ovvero di tutti quei soggetti che presidiano le reti di circolazione e scambio di merci, persone, informazioni, saperi, energia, credito, etc. La dotazione (quantitativa e qualitativa) territoriale di beni competitivi territoriali, ovvero di reti di commutazione tra flussi e luoghi diventa fondamentale nel ridisegnare lo spazio di posizione dei territori;

  4. Dal momento in cui la crisi ha subito un ulteriore salto di grado connesso alla dimensione del debito pubblico si è aperto un percorso di “riforme” istituzionali dall’alto che sta producendo un forte depotenziamento/ridefinizione delle agenzie formali di governo territoriale (Province, Regioni, CCIAA, Tribunali, Prefetture, etc.), senza un vero coinvolgimento in questo percorso degli attori locali, siano essi portatori di interessi nella sfera privata o in quella pubblica. La microfisica dei poteri locali, in altre parole, viene ritenuta un puro vincolo, una rendita di posizione e una forma di conservazione culturale ostatitva dei processi di modernizzazione;

  5. La forza dell’azione riformatrice dall’alto è commisurata alla debolezza della società di mezzo che, per diverse ragioni, non ha saputo autoriformarsi in modo incisivo, così da trovarsi oggi relativamente isolate dal punto di vista del consenso diffuso, anche a livello territoriale;

  6. Per provare a riconquistare uno spazio di azione gli attori locali messi all’angolo da una logica istituzionale atta a prosciugare l’acqua nella quale nuotano i corpi intermedi, a prescindere dagli sforzi profusi per riqualificarne scopi e logiche di azione, hanno la necessità di sperimentare nuove forme di protagonismo territoriale che prendano corpo da una comune volontà di “rappresentarsi”, uscendo dal perimetro della “rappresentanza” in senso stretto.

  7. Dal punto di vista territoriale il Nord Est si configura come uno dei laboratori più avanzati del Paese nel quale provare a sperimentare nuovi spazi di rappresentazione attraverso i quali quotare visioni e istanze di sviluppo autogovernate. E ciò con particolare riferimento all’asse della pedemontana veneta che si snoda tra Verona a Pordenone, passando per Vicenza, Padova e Treviso. Il Nord Est oltre che spazio geografico è sempre stato costruzione identitaria che dava voce collettiva ai soggetti emergenti di un capitalismo in cui il motore dello sviluppo era la “messa al lavoro del territorio” con la proliferazione dell’impresa molecolare. La culla del postfordismo all’italiana i cui soggetti di governance sono stati soprattutto rappresentanze d’interesse, Camere di Commercio, banche locali.

  8. Quella società di mezzo oggi in difficoltà nel regolare la multiscalarità dei flussi della crisi. Oggi il Nord Est del XXI secolo è anzitutto uno spazio territoriale plurale alla faticosa ricerca di una nuova identità, nuovi confini, nuove forme di rappresentazione rispetto a quelle tradizionali. Dentro la crisi è un territorio impegnato nell’elaborare il lutto per la perdita di una diversità che per un ventennio aveva trovato la sua trama unitaria all’interno di una “questione settentrionale” quotata politicamente nella dialettica tra localismi produttivi e Stato nazionale.

  9. Una piattaforma che è anche il cuore di una transizione terziaria e postmaterialista con l’emergere di una composizione sociale impegnata a costruire una nuova rappresentazione della società veneta fuori dalla tradizionale matrice culturale manifatturiera. Occorrerà capire se la nebulosa delle città medie pedemontane sceglierà la via del rafforzamento di una comune identità metropolitana come smart city a rete mettendo a valore l’atout dell’alta qualità della vita, oppure se prevarrà la forza attrattiva centrifuga delle due global city che già esistono ai suoi confini, a ovest Milano e a nord Monaco. Trasformazioni necessarie che andranno governate dai livelli istituzionali se non si vuole aprire una inedita contraddizione tra una società in via di terziarizzazione e un mondo imprenditoriale che a volte stenta a capire come assorbire questa intelligenza sociale.

  10. Occorre probabilmente trovare una nuova declinazione del vecchio patto tra città e contado traducendolo in un patto tra smart cities e smart lands. Le reti che legavano le filiere e le medie imprese internazionalizzate alla pancia del capitalismo molecolare e che non garantivano solo la crescita dei fatturati ma la legittimità politica e sociale di un modello che produceva consenso, coesione e mobilità sociale ovvero la riproduzione di un ceto medio diffuso, oggi sono logorate. Tuttavia ciò non significa che la dimensione territoriale delle relazioni produttive non conservi un’importanza che nel frattempo i processi di internazionalizzazione non hanno fatto venir meno. Al contrario, proprio in quest’area cruciale l’aumento della pressione competitiva rende necessario il ricorso a quelle economie esterne (economie di agglomerazione, di urbanizzazione ecc.) che rivestono una valenza territoriale di assoluto rilievo dal momento che il territorio non è semplicemente l’ambiente delle imprese, ma fattore produttivo esso stesso, cioè entità che a pieno titolo entra nella generazione di valore economico.